L’unicum e il suo doppio.
Cercare la radice, il fil rouge che contestualizzi, legittimandolo, un atto creativo, qualunque sia il “medium” prescelto, sembra l’atto dovuto di un’attenzione (anche per l’oggetto sonoro o sonoriale) necessaria a ricostruire quell’immediatezza del senso di cui ancora oggi, quasi con ostinazione, siamo alla ricerca.
Parlare di vicinanza all’astrattismo concreto a proposito della produzione di Manuela Cerolini sarebbe dunque immediato, di facile soluzione, non fosse altro per la propria capacità di praticare un’arte ancora in grado di attrarre lo sguardo, stimolare una riflessione gratuita; dove la rintracciabilità del reale si perde nel vagare inquieto e nomade della mano.
E’ necessario scendere sotto la superficie.
Rompere il diaframma, la tensione superficiale dell’impatto visivo, che vuole nascondere alla comprensione l’inevitabile compulsione a “parlare di se”, dalla matrice e dai suoi altrettanto inevitabili “doppi”.
In un percorso retrogrado, la germinazione narrativa della “serie”, nelle sue tante diverse storie, tradisce naturalmente la scaturigine dall’ ”unicum” segnico, parlandoci di una sorta di “felicità” reinterpretativa.
L’opera della Cerolini prende l’avvio come atto poietico totale e totalizzante.
Esiste e pulsa infatti, sotto lo strato materico di ogni lastra, il gesto atavico di un faber scrupolosamente attento nel rispettare i gesti misurati del processo calcografico; delle maniere per realizzare il segno sulla lastra, delle morsure, dell’inchiostratura e della stampa.
La mano crea l’ “unicum”, ma esso non genera la sola serie, non si clona.
Si reinventa.
Mediante un intervento di “spellatura” (skinning), le stampe vengono rimosse dal supporto cartaceo e incollate su tela o su altre stampe, per poi essere interpretate sulla base della loro casualità: spezzate, frantumate, sovrapposte, creando così ulteriori “matrici”.
Il processo autonimico è compiuto, ma non si dona che alla riflessione, lasciando invece alla percezione la propria emozionalità, libera com’è di accogliere sempre nuove provocazioni estetiche.
Andrea Foresi
Manuela Cerolini, la passione per la calcografia
Ho avuto occasione di visitare la fiera “Carta Canta” di Civitanova Marche sin dalle prime edizioni e devo dire con piacere che è un’interessante expo in crescita. Un evento ricco di contenuti e necessario non solo per la nostra Regione. Come in altre edizioni era presente l’artista civitanovese Manuela Cerolini che presentava le sue opere calcografiche operando direttamente con il torchio. La calcografia è una tecnica di stampa che utilizza lastre metalliche (in genere zinco, rame) incise con uno strumento d’acciaio molto appuntito o con sostanze corrosive e poi inchiostrate. Una volta ripulita la lastra, l’inchiostro rimane solo negli incavi praticati, in ultimo pressando la carta contro la lastra con il torchio, esce la calcografia. Ciò mi ha molto incuriosito e di conseguenza mi son fatto raccontare qualcosa sul suo percorso artistico e perché no, anche qualche notizia biografica.
Manuela terminò gli studi artistici all’Accademia di Macerata nel 1990. Tra i suoi docenti vi sono stati Magdalo Mussio, conosciuto per la “poesia visiva” (corrente artistica per l’incisione consistente nel tradurre in campo pittorico il linguaggio scritto) e Luigi Carboni per la pittura. Lo zio Odoardo Petritoli, calzolaio, grande appassionato d’arte e di artigianato, alla laurea le regalò un costoso torchio calcografico. Questo fu lo spunto che fece sviluppare in Manuela la passione per la calcografia, consentendole di lavorare autonomamente.
A Jesi, per quattro anni, con lo studio Pappagallo ha eseguito importanti
lavori di restauro pittorico di dipinti e affreschi presso la locale pinacoteca. Lavori che le hanno dato molto a livello di cromaticità e ricerca del colore. Ha restaurato anche la cripta della
chiesa di Santa Maria a Pie’ di Chienti (sec. XI) a Montecosaro. Queste esperienze l’hanno formata e le sono utili anche nella calcografia. Manuela partecipò a dei concorsi ed entrò nel mondo
della scuola: dopo dieci anni di materna passò di ruolo alla secondaria di I grado come insegnante di educazione artistica. Da quattro anni ha ripreso l’attività che ama di più: la calcografia.
E’ una tecnica poco conosciuta e apprezzata; Manuela evidenzia: “Mentre ci si può improvvisare pittore, per diventare calcografo bisogna seguire dei corsi”. Si pensa anche che il prodotto finale
sia di minor valore, forse per le copie che se ne possono estrarre. Tutti i grandi pittori sono stati anche esperti incisori. Manuela spiega, con la tipica pazienza dell’insegnante, che ama la
lastra e il suo processo di formazione, definendolo uno sviluppo casuale, misterioso, alchemico. Nella calcografia si mette in mostra la stampa-prodotto finale non la lastra-matrice. Manuela
ritiene, invece, che il successivo processo della stampa sia secondario. La nostra artista ama la lastra e mette in mostra la sua matricità, la fa lucidare e verniciare; sperimenta delle
geometrie espressioniste emozionali. Dopo la scuola Manuela passa le giornate con le lastre, tra la vasca con l’acido e gli impegni di casa. A volte i ritardi sui tempi della morsura creano
effetti insoliti e gradevoli; come sempre in campo artistico, la casualità ci regala effetti imprevedibili, piacevoli. Da una stampa Manuela crea dei pezzi unici, originali: scolla, strappa,
colora e incolla su tela. Sperimenta nuove creatività, ciò dimostra che ogni regola, in modo particolare nell’arte, ammette le sue eccezioni. Con la serie “Galloria” (40 x 50 – 50 x 60) voleva
fare una “chiassata” di colori. In questa collezione, eseguita con la tecnica del pastello a olio e acrilico su carta con l’uso del graffito in alcune parti dell’opera, sono evidenti e ammirevoli
quelli lei definisce i “vortici emozionali”, cioè dei segni liberi. Soggiungo che sono segni fuggiti dal suo io artistico, più sicuri di una firma digitale. È molto legata alle sue prime
incisioni quelle dell’Accademia, le più spontanee e genuine. Le opere che ama di più e dalle quali ha ricevuto le migliori gratificazioni e consensi sono quelle calcografiche. A esse ha rimesso
mano dopo un anno di esercizi pittorici per riprendere il tratto libero originario. Dal 1989, ha partecipato a varie mostre nelle Marche ed anche a Cracovia in Polonia. Nel 2008 ha ricevuto un
premio con menzione speciale al concorso “I colori dell’ICA” di Civitanova Marche con una serie di acqueforti-acquetinte. Manuela ha anche progettato l’aiuola lunga 28 metri e larga 5, alla 36°
edizione di “Cervia città giardino” del 24 maggio 2008 sul tema dei 500 anni della nascita di Annibal Caro. Il giardino è poi stato messo a dimora dal personale del Comune di Civitanova Marche.
L’aiuola riproduceva il tipico paesaggio maceratese dai Sibillini al mare con il fiume Chienti e una frase del traduttore dell’Eneide. Tra i suoi progetti c’è quello di aprire un laboratorio
calcografico con il Comune di Civitanova e la locale pinacoteca.
Eno Santecchia
Improbabili affinità
Marzo 2012, corrispondenze …
Il Comune di Civitanova Alta ospita nella chiesa di S. Francesco le opere di due importanti artisti marchigiani, Agostino Cartuccia e Manuela Cerolini, entrambi esempio di armonica sintesi tra forza espressiva, gusto formale e suggestioni oniriche. Agostino presenta una serie di filisculture metalliche, quasi incorporee, che tuttavia occupano anche uno spazio reale, quotidiano, ma nobilitandolo, deviandone lo spirito sovente corrosivo, imponendosi su di esso come pure forme apotropaiche.
Manuela risponde a questa musicalità con una sapiente e misterica manipolazione del metallo inciso e stampato che ci consegna splendidi esempi di un felice connubio tra mondo formato e informe, espressi con una gestualità sentita, mai gratuita o fine a se stessa.
Agostino e Manuela sono come due sponde dello stesso fiume-coscienza, profondamente simili e infinitamente diversi al tempo stesso. Tra le corrispondenze più evidenti: l’uso dei metalli, gli aspetti formali lineari, il segno che assume valori simbolici, anche onirici; la dolcezza d’insieme delle immagini che, pur nella loro naturale contemporaneità, affonda le radici nell'arte marchigiana di sempre; e, infine, le variazioni su un tema dato. D’altra parte vi sono anche delle modalità operative e degli sviluppi stilistici squisitamente personali. Ad esempio, in Manuela la gestualità, che assume anche tratti di automatismo non problematico, da vita a una molteplicità di segni vivificanti dai quali a volte emerge il mondo formato, che non è mai storicizzato in senso assoluto,
mai definitivamente compiuto, e altre volte evidenziano invece una chiara necessità dell’artista di restare più a lungoinvischiata nella materia, come se il senso dell’arte stessa fosse celato tra le pieghe di una ritualità quasi alchemica, più che nel prodotto stesso. In Agostino i segni, che si sviluppano e si snodano dalla materia inerte, ma pur sempre leggera, hanno già un’identità, una genia, un percorso da fare e un obiettivo da raggiungere; sono segni che contengono le forze dinamiche della materia bruta, e le energie divergenti del mondo onirico; sono segni già formati che
hanno un destino chiaro: purificare l’Essere nel divenire.
Nelle opere più recenti di Manuela c’è poi da apprezzare la volontà di superare la metodologia tradizionale della tecnica incisoria con interventi sperimentali anche energici che moltiplicano le sue capacità espressive e la collocano più a ridosso del cuore pulsante del fare artistico. Ciò che affascina di più nelle opere di Agostino, invece, è la gioia del comporre, del mettere insieme forme e ricordi, miti e linee, percorsi e simboli, con naturalezza, con semplicità, senza forzature, con grazia.
Claudio Nalli
Improbabili affinità
... Dopo "Viaggio al Parnaso" dello spagnolo Pascual Blanco a CIVITANOVARTE, ecco "Improbabili affinità" di Manuela Cerolini e Agostino Cartuccia. Un’accurata selezione di opere originali dove l'alchimia dell'incisione sposa il vigore della scultura. I segni incisi di Manuela Cerolini e le filisculture di Agostino Cartuccia hanno in comune il metallo e sul metallo si incontrano, si intrecciano, dialogano, si caricano di molteplici significati.
Con lingue diverse, Cerolini e Cartuccia, raccontano un dialogo di opposte somiglianze, raccontano il loro impegno, forte e costante, nelle specifiche differenze, raccontano il sentimento, la
creatività e la fantasia, lo studio e la ricerca tecnica. Cerolini e Cartuccia sono due talenti emergenti, che in verità hanno già percorso un lungo cammino, e che in questa occasione, attraverso
accostamenti inusuali, evidenziano relazioni e rapporti ora tematici, ora materici, ora sostanziali, ora formali. "Possiamo dire con orgoglio che il progetto CINVITANOVARTE è stato e continua ad
essere, dopo tanti anni, un'idea felice che ha ottenuto risultati importanti e che punta alla realizzazione di nuovi ambiziosi obiettivi dove la Città Alta non è sfondo, ma scena sulla quale si
agitano novità, fatti e produzioni, ai quali non è mancato e non mancherà di arrivare sostegno, favore e plauso. Bisogna riconoscere che CIVITANOVARTE, anche nella sua versione primaverile, ha
saputo di nuovo presentare personaggi talentuosi e opere autentiche, ha saputo far acquisire maggiori conoscenze relative all'Arte, affinare la percezione e sollecitare la
curiosità."
Enrica Bruni Stronati